martedì 17 ottobre 2017

a lui piaceva (2017)


 

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a lui piaceva attorniarsi di qualsiasi cosa le ricordasse lei, forse perché aveva paura che tutto potesse svanire come in un sogno, di svegliarsi e di trovarsi in un’altra realtà… e quei “segni” lo tenevano costantemente legato a questa realtà dove lei rappresentava il punto di partenza.
Aveva scritto il suo nome con delle mollette, quelle per stendere il bucato, e l’aveva attaccato davanti alla porta. Tutte le mattine aggiustava le mollette per mantenere il nome simmetrico, sempre in equilibrio. Quasi un rituale, un simulacro. Poi, man mano che lei si allontanava, cominciò a trascurare quella funzione rigenerativa, magari forzando un po’ per non morirci dietro e dentro
Stamattina, però, ci ha pensato e ha voluto guardare: era malandato ma ancora leggibile, un amore scassato ma ancora un amore…
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A lui piaceva pensare a quanto lei fosse il fulcro di tutto quel tempo, di come ogni granello di polvere le girasse attorno, a lei, che diceva di sentirsi così mediocre, spesso inutile, ininfluente, lei, era invece, le fondamenta di tutto.
A lui, tra le altre cose, piaceva scrivere, creare personaggi… e perché non farlo per se stesso, pensava. Un personaggio che gli stesse sempre accanto, da eleggere a ragione di vita, a quella creatura contenuta ma che contiene dentro sé tutti i suoi aspetti e dove le parti si confondono agglomerandosi in una forma nuova
Quindi crea quest’ultimo personaggio, che chiamerà Papo in ricordo della sua gattina che chiamava Papù che un giorno sparì e di lei non seppe più nulla. Il connubio con la gatta, era così intenso ed empatico, che lui non aveva bisogno di parlare né lei di miagolare.

Sembrava tutto uscito da una fiaba, troppo perfetto per essere reale comprese le imperfezioni, facevano parte del gioco e quindi non disturbavano. E lui ci pensava a queste cose e si domandava se anche lei se ne ricordasse…

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Quella mattina sembrò che le realtà si fossero capovolte, gli sembrò che fosse lui ad essere apparso al giorno sorpreso…
Stava lavorando alla stesura di un romanzo, e ci stava sopra senza orario, instancabilmente. L’aveva iniziato qualche anno prima, ripreso più volte e mai completato. Stavolta sembrava deciso a concludere e ormai era alle ultime battute, la scena di una cena chiarificatrice che sembra lasciare tutti felici e contenti. Non riusciva a collegarla al capitolo precedente, aveva perso il filo e adesso aveva difficoltà a riprenderlo. Ma quella sera dovevano andarci degli amici a cena e avrebbe approfittato per trovare una soluzione alla scena, a parte, ovviamente,  la distrazione che avrebbe rappresentato.
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Non c’era un senso logico a quello scorrere degli eventi, in maniera così disordinata, così senza linea… un po’ come le balene che si arenano in improbabili spiagge senza che sappiano almeno perché stanno morendo…
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A lui piaceva pensare che il colore dei fiori dipendesse dai desideri di chi li osserva per questo adesso non si avvicina più ai fiori, per non svelarsi, per non dividere, poi,  la sofferenza, anche se questo significava rinunciare a qualche gioia. Sapeva pure che non si possono eludere gli invisibile legami e non tutto è percettibile con certezza: Rimane sempre il dubbio se siano le risposte a fare  le domande.
Per lui, il più grosso motivo di sofferenza era quello stato di non morte in cui si erano cacciati e, ancor più pesante, se in quello stato ci fosse solo lui…
ma a lui piaceva pensare il contrario…
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A lui piaceva partecipare agli incontri artistico letterari, e riceveva spesso inviti, che gradiva, ma in quell’ultimo periodo trovava sempre una buona scusa per evitarli. Non sarebbe riuscito a raggirare l’anima in una circostanza che avrebbe potuto rimettere tutto in discussione, questo avrebbe ulteriormente tradito un’immagine già compromessa e proprio non si sentiva di affrontare problematiche che in altri tempi, sarebbero stati il classico giochetto da ragazzi.
Ma a camminare per strade ormai corridoi con tanto di minacciose pareti e senza un filo d’erba, credo gli sembrasse orribile, qualcosa che ha a che fare col purgatorio e fa male a sentirsi scorticati vivi.
Per questo, lui non partecipava a nulla, nemmeno alla sorpresa del suo specchio, quando lo vedeva vivo per casa.
Poi c’erano i giorni in cui avrebbe “rischiato” e mai che ci fosse alcuna occasione. Si ricordò di un dibattito sulla poesia al palazzo della cultura, li difficilmente avrebbe incontrato vecchie conoscenze.
Ma non andò  precisamente come lui pensava, perché, invece, incontrò parecchi amici, per fortuna nessuno di indesiderato. Fin li, sembrava andare tutto bene, ma quando qualcuno gli presentò quella divina creatura, un grande turbamento riempì la sala tanto che tutti sembrarono ringiovanire e le pareti si tinsero di un colore che pensava esistesse solo nei suoi sogni.
Il suo nome era Eva, anagramma di anima…
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A lui piaceva credere che tutte le parole fossero vere e che dietro ogni verbo non si nascondessero ambigui svolgimenti. Certo, sapeva bene che non era così semplice, che la bugia sta all’uomo come il prezzemolo sta a “ovunque”,  e senza alcun motivo, spesso. 
Lui voleva pensare che quella volta fosse stato davvero diverso, che il sogno di una vita si fosse avverato… ma perché avrebbe dovuto esserlo? Cosa c’era di diverso in quella storia rispetto alle altre?
Forse per via di quella decisione che non avrebbe più avuto relazioni di tipo amoroso con alcuno, dichiarando “ultima” già la storia precedente? E cosa c’era di speciale in una donna “qualsiasi” che viveva la sua vita come altre milioni di donne, senza niente di particolare o speciale, che non fosse solo la stupida voglia di “santificare” quel rapporto eleggendolo a “dono divino”? A lui, però, piaceva immaginarla regina, padrona assoluta del suo cuore, matriarca  e senso… dico, ma come si può affidare la propria vita ad una persona piena di contraddizioni che dice, dice, e mai resta, o ammette, e nemmeno cerca di capire quello che rimane di te…
Lui pensava a tutto questo, capiva che quello che non riusciva più a ricreare attorno a sé, pensava, potesse essere lo stesso per lei, ma scopriva, giorno dopo giorno, che non era per niente cosi, che probabilmente non lo era mai stato. Per lei tutto aveva un continuo, e lui era stato solo un personaggio che aveva attraversato la sua vita,  che aveva preso il suo tram, uno dei tanti che popolano la vita di ognuno di noi, ma poi si arriva alla fermata e si deve scendere e… avanti un altro, e un altro ancora fino al capolinea, come è normale che sia. Perché  sarebbe dovuto essere diverso? A volte qualcuno ci rimane un po’di più su quel tram, scende qualche fermata avanti, ma quanto tempo perde poi  per tornare indietro e ripartire da quel punto dove ancora si potevano aprire tante finestre a nuove primavere… se le è viste passare le primavere senza raccogliere almeno una margherita e a lei di questo non importava, a lei non interessavano le primavere,  solo chiacchere che adesso starà comminando a qualcun altro al quale fare tenerezza... ma,  nonostante tutto, a lui piaceva pensare che lei stesse soffrendo quell’assenza in qualche modo…
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Eva creava attorno a se la magia della prima volta, un alone di fascino e mistero che ingarbugliava la mente anche se, per molti aspetti, faceva intravvedere i futuri fantasmi che avrebbero popolato le notti strane, già piene di troppe parole morte. Era bella Eva, lui direbbe bellissima; si era sempre circondato di donne bellissime, affascinanti, intelligenti, perché lui amava l’intelligenza all’interno della bellezza, perché al contrario, pensava, sarebbe stato facile trovare la bellezza nell’intelligenza: tutte le persone intelligenti sono belle!
Eva era anche, oltre a tutto questo, l’apparente “salvezza” che la natura gli aveva donato per riuscire ad uscire dalla galleria buia in cui si trovava, da quella non morte che bloccava, e respirare una bocca nuova e piena di energia. Eva era la zolla che riprende, la sanarìa necessaria, la pianta officinale che salva, l’obbligo della libertà, perché la libertà è un obbligo verso la creazione e dove “obbligo” significa piacere… e lei, Eva, era l’esistere oltre il tempo e lo spazio, nel senso più pieno della parola.
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A lui piaceva pensare che sarebbe andata come sempre, che tra un po’ di tempo, ma già era tardi, avrebbe dovuto mettere tutto nell’archivio, che doveva essere più un dimenticatoio che un deposito di ricordi e la presenza di Eva agevolava parecchio questa congruenza, ma non ne era la causa e a lui piaceva pensare che lei fosse il nuovo arcobaleno, e con più colori…
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Gli capitò per le mani, mentre rifletteva su questo o quell’oltraggio, il testo del “monologo del silenzio”, la prima scrittura “ufficiale” che parlava di lei o, comunque a lei si riferiva. Lui la lesse ad un pubblico che ascoltava attento,  ma era a lei si rivolgeva a mente aperta e senza riserve, e lei pianse quel giorno o almeno così sembrò, mentre l’ascoltava.
“monologo del silenzio” -  “da quanto tempo piove… e noi aspettiamo, aspettiamo nuove margherite sbocciare per poi contare quel che non torna.
quanti silenzi sono passati sette, otto, e chi li ricorda più, e chi li mangia più se poi, a tentare di sorprenderli sono tutti uguali i silenzi e parlano di niente e non hanno occhi cosi da vedere quanto sei stanco di ascoltarli. e parlano, parlano di città nuove, parlano, fermi come sono, di baci, di storie che potevano andare diversamente, di quella volta che avremmo potuto parlare noi e che, invece, abbiamo lasciato le parole in mezzo alla folla. oh, lo sapevamo, lo sapevamo che la folla allontana e lui, il silenzio, è arrivato, in perfetto orario, fantasma di te e di me, per portarci via, coperti di sughero e senza farci capire che la libertà non sta mai da una sola parte.
ora, amore che non sei facile, che da sempre ti batti per farti capire interamente  e che ci vogliono più di sessanta lunghi anni per capire una briciola di te, ora, amore, sei nuovamente qui, negli occhi dell’ultima donna, che già c’era stata l’ultima, che non doveva esserci un’altra ultima, che quando sei giovane lo dici continuamente e sai bene che non è così, eppure ci credi. ma quando il corpo ti comincia a tradire, quando il peso di una vita diventa insopportabile, quando sai che il bene che puoi dare è enorme ma solo dentro te… ecco, l’ultima donna, quella che non avrai tempo per dimenticare.”

Ecco, e lei pianse quel giorno…
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a lui piaceva sentirsi considerato, specie quando questa, la considerazione, si traduceva  in “particolari attenzioni”, quel tanto piccolo che lascia ancora il senso di appartenenza, quello che quando lei si ricorda che troppo aceto ti fa male, che, non salire le scale di corsa o, più grande, mi piace tutto quello che fai... che poi erano il ritorno di quello che lui lanciava… si, a lui piaceva essere considerato, perché  lui l’aveva fatto prima, conosceva i codici: Se voglio amore, quello devo dare!
Quello che mancava era la presenza.
Tutti i piccoli desideri, i più profondi, diventavano sempre più. particolari attenzioni, quelle che distinguono un amico da qualcuno che ti fa battere il cuore e altro, ma non c’era modo di verificarli in pieno, il tempo era sempre meno. Era molto grave e stupido non chiedersi allora, perché il tempo era sempre meno e, tolte le scuse, rimaneva il lento sbiadire della  la volontà di lottare per qualcosa in cui non credeva più.
A lui piaceva credere che, a quel punto, il mondo avesse già capito e avrebbe cominciato a girare nel verso giusto. Ma c’era un senso giusto? Se fosse esistita un’altra possibilità, avrebbe potuto anche aver ragione lei: Se mi lasci sei un bastardo, se ti lascio io è una libera scelta!
Giusto, sennò che regina sarebbe stata? Ma era stato lui ad eleggerla regina, qualche volta avrebbe dovuto ricordarsene.
Non poteva aver  quella ragione che tutti le davano,  lui non era così rincoglionito da non riuscire a capire che si trattava di ben altro e che le “ragioni”, erano solo opportunità di ogni genere, opportunità per gli altri, che le mostravano improbabili armi a difesa si,  ma dei propri interessi. Ma opportunità anche per lei, che avrebbe pagato meno di quello che le spettava…
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10°

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A lui piaceva che tutto andasse bene, che scorresse,  che i piccoli desideri si esaudissero man mano che si evolvevano, ma non era mai così.
Giovanna non era in forma ultimamente, e  le vicende con l’ex fidanzato sembrava l’avessero esaurita. Lei, bella e giovane com’era, avrebbe potuto avere molto di più dalla vita, invece aveva perso tempo in quella sterile e stupida storia. Lui la conosceva da più o meno quattro anni, e lei era sempre presente quando lui organizzava eventi artistici dalle sue parti. Giovanna le era sempre piaciuta, ma di un piacere pulito tranquillo, e poi, comunque, era “distratto” da quel colosso di sentimenti che rappresentava Papo. Certo, qualche volta ci pensava, ma lui non riusciva a tradire, lui odiava il tradimento considerandolo tra i delitti più atroci contro l’uomo.
E’ stato un caso l’essersi incontrati e aver ripreso quel “piacere” che tanto loteneva sereno: era un tranquillante naturale, Giovanna, non un analgesico!
Un paio di telefonate, qualche ora in chatt, riuscirono, per un breve tempo,  a creare un ambiente sereno, spesso giocoso… poi, forse lui si spinse troppo in avanti e mise lei in una posizione di difesa e a chiederlo, non aveva risposte,  né motivi.  
Ma ci pensava e, credo, gli mancava quella breve armonia che erano riusciti a creare, nonostante l’inferno che li circondava.
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Ma a lui piaceva pensare… e pensava a tutto quel mondo che si stava lasciando dietro, un mondo all’interno di un palcoscenico dove cambiavano i personaggi ma si ripeteva la scena di sempre e sapeva che anche da qualche altra parte stava accadendo la stessa cosa: Altri personaggi a riempire i vuoti lasciati dal collasso di quell’amore, inconsapevoli protagonisti di niente!
Giovanna, la sua assenza, sta lasciando che i fiori del ricordo continuino a fiorire e… quel desiderio di andare sull’Etna, magari in quell’immenso farci l’amore e sentire le vibrazioni della terra sotto i piedi, magari, quel desiderio, sarà un altro ad esaudirlo, il mio, il suo desiderio… ma Giovanna non c’entra con tutto questo, lei è così dolce…
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11°

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La decisione di Gisella sembrava ormai irreversibile, ma a lui piaceva pensare a quanto quella svolta le avrebbe cambiato la vita. Trasferirsi a Roma per frequentare i corsi di cinematografia, era ormai l'irrinunciabile sogno che si preparava ad affrontare.
Per lui rappresentava un motivo d’orgoglio, ché se Gisella fosse diventata quello che, in fondo, meritava, un pochino era anche merito suo, ma, dall’altra parte del pensiero, però, Gisella rappresentava pure l’ultimo baluardo di un complesso insieme, che lo aveva visto indiscusso protagonista, e adesso anche lei se ne stava andando.
Verso chi avrebbe riversato tutto quell’amore?
Se ne era accumulata una quantità enorme durante questo tempo vuoto, una quantità tale da diventare ingestibile… continuare ad amare incessantemente qualcuno che ha chiuso tutte le finestre aprendone altre, dalle quali, anche lei riverserà quantità abnormi di amore, amore vuoto a perdere, che i destinatari crederanno vero, e anche lei ci crederà infine e a lui questo non piaceva, ma non poteva farci nulla se non assistere alla partenza di quella gioia che era Gisella e alla inesorabile fine di tutto quel mondo. Eva, Giovanna, Anna, Daniela, persone molto vicine a lui, che in qualche modo gli riempivano la vita, ma di un altro mondo, un mondo a venire che non si poteva, in alcun modo, prevedere…
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a lui non piaceva tutto questo…
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12°

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I suoi figli, Simona e Andrea, sapevano di quanta libertà ci fosse dentro quel papà così “strano”, quel padre che andava al bar di fronte, a prendere il caffè in pigiama, che non si era mai curato del pensiero di quegli altri che non gli interessavano, ma che con infinita amorevolezza li aspettava, sempre, qualsiasi tempo facesse r in qualsiasi tempo.
Loro sapevano pure dei suoi tormenti, di quanto grande potesse essere il dolore che lo consumava, del passato ossessivo, del presente devastante, del futuro nullo…
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tutte quelle storie, l’America, il Circolo Polare Artico, la loro mamma, Leonor,  la poesia… e poi lei, grande e controversa protagonista di quella parte così delicata della suaesistenza, l’infarto e il conseguente cambio di tutta la sua vita… tutta quella gente che prima era là, accanto a lui, quasi ad adorarlo… e ora, il vuoto, un niente fatto di niente, illusioni elette a quotidianità dove, quello strano papà continuava a cucinare per due, con una gioia che male nascondeva l’infinita solitudine dove era stato scaraventato, loro, i suoi figli, sapevano… e sapevano pure di quel senso d’impotenza che lo riempiva fino all’orlo, di non riuscire ad essere più quell’esempio che loro s’aspettavano, che moriva ogni notte e rinasceva solo per loro, in una dimensione che se non era buio, gli somigliava molto. Pensava di averli delusi, quei figli che erano la sua vita, di averli traditi, di aver smesso quel ruolo di padre/maestro per un altro che non gli si addiceva per niente: il ruolo di “inutile” quale qualcuno l’aveva fatto diventare…
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i suoi figli sapevano…
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13°

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a lui piaceva credere che lei stesse male almeno quanto lui, ma non era così, lei aveva già cambiato sogno, il destinatario del suo buongiorno e della sua buonanotte. Era la bimba di qualcun'altro che la stava comprendendo interamente e senza egoismi: il suo sogno vero... altro che case umide, pullman, assurdi incontri, pranzi anche fin troppo barocchi per essere gradevoli e letti freddi o troppo caldi, appiccicosi... vuoi mettere l'aria condizionata, i lumi di candela, le frasi baci perugina sussurrati ad un millimetro dalle labbra... vuoi mettere? E le opportunità?
Ma a lui piaceva credere che lei lo pensasse continuamente, che non c'era un attimo della sua giornata in cui lui non fosse, in tutti i modi, presente, che quel legame era davvero indissolubile e che pur nel silenzio più assurdo, le grida imbrattavano le pareti schiantandovisi contro violentemente.
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Si, a lui piaceva credere...
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14°

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Avevano dato tutti torto a Luisa, ma la sua tendenza a giustificare sempre, quel suo essere aperto anche verso le “distorsioni”, al fatto chiaro che ognuno di noi legge a modo proprio la vita di chi gli sta attorno, gli lasciavano sempre quella domanda: E se fosse così come dice lei?
Si domandava continuamente, lui, da che parte fosse la verità, ma da entrambi i lati c’erano due persone che amava ed era sempre più difficile scindere.
Naturalmente la tendenza era sempre a credere più in lei, Papo (che nonostante tutto si ostinava a pensare il contrario), trattenendo comunque il dubbio sulle versioni di Luisa che si allontanava sempre più, lasciando che si sviluppasse quel gigantesco vuoto che avrebbe investito tutti, soprattutto da quando Gisella aveva preso altre decisioni e altre direzioni, cosa che la sconvolse talmente tanto, al punto di mettere la cosa in cima a tutte le priorità, e non solo le sue.
Avere tanti amici, persone che ti stimano e ammirano, che ti seguono, quasi mai è sufficiente per sopravvivere alla “vuotità”, e lui ne era consapevole. Sapeva bene che una parola, una sola parola proveniente da lei, valeva più di tutte quelle dei cento amici che lo circondavano. Forse il torto di Luisa, furono alcune “distrazioni” che mostrarono un lato inedito di questa donna, un lato ritenuto poco conveniente per alcuni, giustificabile per altri o comunque, riducibile ad un “sono affari suoi”, ma che, comunque, coinvolgeva tutti! L’errore di Luisa? Mettere in discussione tutto e pretendere chiarezza laddove lei stessa oscurava. La realtà era evidente agli occhi di lui: Uniti da un punto mobile ma in mondi e modi di vivere la vita assolutamente diversi!
Non si poteva pensare a giustificazioni, loro erano anche fin troppo adulti per cercare giustificazioni, non servivano, bastava vivere ciascuno il proprio e lasciare fuori dalla propria vita intima tutto il resto.
Mi capito spesso di sorprendere lui a pensare che tutto quel meccanismo potesse essere stato, in qualche modo, pilotato, di certo a livello subcosciente, una sorta di volontà superiore che spingesse a frantumare una realtà fittizia, il classico “troppo bello per essere vero”, che quando accade, bisognerebbe viverlo anziché indagare dentro di esso fino a svelarne le armonie a noi sconosciute e quindi a frantumarlo come un sogno al mattino. Svegliarsi in piena notte per vedere se ti trovi dentro un sogno o in una qualche improbabile realtà, per lui era una sciocchezza dentro la quale, però vi caddero tutti, lui compreso.
Luisa, che tanto gli era stata vicina nei momenti più tristi, negli stati di profonda solitudine, nelle notti di malessere fisico quando la pressione sanguigna di lui ballava con numeri assurdi, al limite del fatale, lungo le cene sofferte, quella Luisa, adesso era presente quasi come un ologramma, nel tentativo di mostrare chissà quale “verità”, dove non ne esisteva più alcuna...
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A lui piaceva pensare che le macerie si possono utilizzare per ricostruire…
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15°

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Lui era al telefono, di quelli con la cornetta, un vecchio telefono bianco che teneva caro…
“Cosa, non ti trovi dentro ciò che scrivo? Ma che diavolo dici, se ogni virgola, ogni lettera, anche gli spazi vuoti sono pieni di te…  ti ringrazio per quello che hai detto, della meraviglia con la quale vesti ciò che scrivo, ma sei tu, inevitabilmente tu, non può esserci altro, perché una persona non si sostituisce con quella facilità con la quale, sembra, tu abbia sostituito me, è questa la differenza tra noi…  si è vero, ci sono persone che mi prendono, che mi danno mille motivi, ma quello è un mondo diverso, è il mondo del  “poeta”, un mondo pulito, comunque, anzi forse il più pulito, il più onesto, un mondo che tu conosci,  lo stesso mondo di quando “eravamo”, ma da qui a dire che ti ho cancellata… stai esagerando. rimani, e rimarrai, perché nulla si cancella, perché quando dovrò vivere di ricordi, voglio vedere il tuo di viso, tutte le tue e nostre cose a sorreggere quel vivere, assieme, naturalmente alle altre cose che hanno fatto questa mia vita, ma con te al finale, quindi, indispensabile. Devi chiudere? Va bene, ma promettimi che ci sentiremo di quando in quando, che mi farai ancora sentire partecipe della tua vita, di come stai, di come sta tua madre, se i ragazzi crescono bene, se… se ci pensi qualche volta a quanto poteva essere diverso se…”

Poi, lo vidi lanciare il telefono contro una parete, un telefono muto, non trattenuto da alcun filo, che non aveva detto niente e niente aveva sentito. Ero preoccupato, da giorni non mi parlava, anzi, mi evitava…
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A lui piaceva farsi del male camuffandolo con la maschera dell’ironia, si, a lui piaceva farsi del male…
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16°

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Marta era la serenità. Lui amava Marta, da sempre, per quello che rappresenta… lei non era la ragazza qualsiasi, carina e intelligente, Marta era molto di più di questo, era la pace, era l’olio buono, la vicinanza distante, la ricerca che non si compiva mai… Marta era da amare ma non si poteva dire. Poi la grande distrazione e lui girò lo sguardo verso chi sembrava mille Marta, mille paci e centomila sogni… e Marta rimaneva lì, senza attendere, perché non sapeva, non ci pensava, forse più vicina di quanto lui potesse credere, ma nel suo mondo fatto di altri amori di altra vita, anche se il bene che si volevano, adesso combaciava, ed era bene e nient’altro.
Poi… lo prese per le braccia, lo sollevò spingendolo col suo corpo e, semplicemente gli sistemò il cuscino, il cuscino di un infermo,  che avrebbe dovuto sistemare qualcun altro, ma lo fece lei, e il bene crebbe… molto…
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A lui piaceva il bene, e quando lo sentiva sincero, lo chiamava amore, un amore pulito, perché non possono esserci due amori o tre, di quelli che la passione travolge e consuma, di quelli,  può essercene solo uno. altrimenti si chiamerebbe inganno e lui viveva già dentro un amore di quelli.
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Lui amava Marta e pure lei gli voleva bene, e tanto…
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17°

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Lui era convinto che il pensiero fosse una forma d’energia quantificabile, che le onde celebrali si propagassero così come le onde elettromagnetiche o addirittura, attraverso esse. Che se una persona si trovasse a pensare a un’altra persona, in qualche modo, all’altra persona il “messaggio” sarebbe dovuto arrivare.
Può darsi, dapprima, intraducibile, però, qualora l’altra persona avesse prestato maggiore attenzione, il messaggio sarebbe diventato sempre più chiaro, identificandone persino la provenienza, fino ad entrare dentro come un timore o gioia dipendente dal valore se positivo o negativo.
Questa cosa un po’ lo ossessionava perché, per via di quella teoria, visto che lui la pensava costantemente, in qualche modo, anche dall’altra parte, poteva essere lo stesso e, per inversione dei fattori, il suo pensiero costante poteva essere il risultato di un costante pensiero.
Certo, se una persona se ne stava spesso alla finestra, quasi esageratamente, poteva essere un cercare di veder passare qualcuno di importante per lei, ma non è detto che questo potesse essere lui…
Importante, e perché?
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Ma a lui piaceva la teoria sulla reciprocità, ci voleva credere…
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18°


Effettivamente, poi, uno si frantuma le recondite armonie nel dire o nel fare cose che non interessano a nessuno, a partire da egli stesso, allora dice: che senso ha tutto questo?
Quando ti ritrovi che ti hanno incastrato e in qualsiasi caso la colpa è tua, perché continuare a combattere? Non ci si sente un po' folli nell'andare a sbattere la testa sempre contro lo stesso muro? Non ci si sente un po' idioti?
Potrebbe funzionare il "tutti a fanculo", ma non è facile, perché gli altri, quelli là, ti confondono, ti fanno quelle faccine di vittime divorate dalla solitudine, di solitudine! Anche le smile ti confondono... e ti ritrovi a credere ad improbabili sofferenze, ormai troppo dubbie, anche le tue, che da un sacco di tempo, lo specchio non ti vede. Cos'è, prende la vergogna per il fallimento? Si, accade, e allora? Ma dirlo alla causa della vergogna, è opportuno? Lasciamo perdere i racconti e le fantasie... e continuiamo questa vita che per quanto vuota, è sempre più piena di certi niente…


19°

[…]
a lui piaceva la lealtà, per questo la pretendeva.
Quando incontrava una persona, la fase di “osservazione” durava molto poco, giusto l’indispensabile.
Lui credeva che le opinioni potessero cambiare con la conoscenza, ci credeva fermamente al punto che non si curava più di tanto dell’approccio, che doveva rimanere nella dimensione della “cortesia” e delicatezza. C’era tempo per le dichiarazioni di convinzioni divergenti che, comunque, non avrebbero dovuto o potuto compromettere la stima o quant’altro.
Era il subdolo che non riusciva a mandare giù, la realtà volutamente falsata a vantaggio dei propri opportunismi, l’inutile bugia che avrebbe cambiato il corso delle cose e l’avrebbe deviato anche se di poco, ma alla lunga ci si sarebbe ritrovati a miglia di distanza senza capire più nemmeno dove o quando ci si era sbagliati. Era in quel momento che si sarebbero dovute chiedere spiegazioni ai diretti interessati. Don Chisciotte andava direttamente dai mulini a vento, non chiedeva a qualcun altro perché quelle enormi braccia ora,  giravano al contrario e, lui pensava, questo accadeva solo perché non si aveva il coraggio, né la faccia, per affrontare la verità. A lui bastava questo per capire chi aveva torto, chi non era stato leale, e smetteva di combattere contro nessuno, perché quelle persone erano nessuno.
Erano solo palloni gonfiati d’aria sporca, fraudolenta, piena dei propri interessi e gonfiati dagli stessi che lui avrebbe voluto difendere, ma si sa, chi si prende cura dei mocciosi, o rimane sporco di cacca o, al massimo, di pipì.

Ci volle tempo per ammetterlo a se stesso, ma lo aveva capito da parecchio quell’inutile valore.
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Ci volle tempo, purtroppo!

20°

[…]
a lui piaceva credere che le persone fossero pulite, più di lui stesso. Per questo quando Vittoria fece ingresso nella sua vita, la sentì come la medicina contro quelle ferite che lo avevano afflitto e continuavano a sanguinare. Lei, Vittoria, in pochissimo tempo riuscì a rimettere un sorriso sopra il becco del rapace che gli consumava il cuore, che ricresceva ogni notte dai sogni che, e lui lo sapeva, rimanevano sogni. La delicata bellezza di lei, diventava sempre più musa, lo ispirava in una nuova poesia perché, quella delicata bellezza, era poesia.
Non voleva credere nell’inganno, a lui piaceva pensare di essere stato frainteso, che alcuni fattori esterni avessero avuto un ruolo fondamentale nella deviazione delle “possibilità” e che la storia alla quale aveva creduto così tanto, fosse finita per colpa, non per dolo. A lui piaceva credere che le persone fossero pulite, ma si sbagliava e adesso ne stava piangendo le conseguenze.
Vittoria era l’uragano che spazza via tutto, il vento buono che può riuscire a far rifiorire la speranza che qualcosa di buono possa esserci ancora. Lei era la presenza che voleva in quel momento senza tempo.

[…]
Si, a lui piaceva ricordare, ma di più, piaceva vivere con tutte le sue cicatrici.

















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