domenica 10 maggio 2015

Anna delle meraviglie (2015)

Anna e Alice non si conoscono. Anna e Alice, in comune hanno un paese e una A. Il paese di Alice è nei suoi dintorni. Anna è il paese.
Quando, in questa vita, conobbi Anna, pensavo ancora che il mondo fosse fatto di cemento, di vetro, plastica e asfalto, ma anche di alberi, acqua che scorre e variopinte sensazioni. Quello che mi girava attorno era il reale, quello che tutti vediamo, il panettiere, la coca cola… Anna, mi ha detto “guarda, guarda il mio seno, non vedi quanto universo?”.

In realtà non mi ha detto proprio così, ma è quello che ho sentito, e quello che ho visto era l’origine della vita sensuale, ma anche materiale, in una prospettiva diversa da tutte le rappresentazioni fino a quel momento, da me conosciute. E dire che ne ho viste di “rappresentazioni” ampie fino al margine estremo, ma lei, Anna, ha tolto le staccionate e annientato i confini fino a farmi vedere la mia stessa nuca guardando avanti.

Anna è tutto l’inedito che ruota attorno al mio mondo di carta e di parole, ciò che ho cercato tanto ma non sapevo chiamare e lei non sa di essere l’altro capo del filo, ciò che ho creduto esistesse solo nella mia fantasia. La mia fantasia si chiama Anna, io la cercavo la dentro e invece… come potevo vederla se lei era io stesso ed io lei?

Ho bisogno di bere qualcosa, ricordarmi che sono umano e mortale, perché Anna, mi ha tolto questa sensazione, rendendomi eterno, nuvola, vento e tutte quelle cose che non finiscono mai.

Sapete, quando passano quelle meteore violente e luminosissime, si crede che si abbia avuto e vissuto il massimo, che niente può superare quel tipo di impatto. Lo credevo anch’io, fino a quando un silenzio pieno di parole non si è infilato dentro il mio pigiama, ha pianto nel mio bicchiere, mi ha terrorizzato con un’idea, mi ha riempito con il suo “abbandonarsi” e poi, Anna, si è affacciata dalla mia anima dicendo “ sono qua, dove stai cercando…” e l’ho vista, finalmente, bella, come me, viva, piuma, tigre, acqua, tempesta e amore, proprio come me, la mia stessa vita, il respiro, si, proprio così.
Saper credere non è facile, scavare nella giustizia dell’amore, quello che sta lassù, incontaminato da giudizi o quant’altro.

Desiderare? Cosa, un corpo? no, il desiderio è di più, un corpo riesce ad appagarti anche se per breve tempo, fino a diventare un analgesico, il desiderio, quello che Anna ha svegliato, che abbiamo svegliato, è una costante che  non smette mai d’essere perché è ovunque, in ogni gesto, in ogni direzione, dalla padella al sogno, dai calzini al bacio, sulla punta del naso all’orizzonte che sfugge. È senza filtro. È  codice naturale. È Dio! Madonna mammifera che allatta l’universo e non si ferma mai.
Il desiderio non si risolve nel vivo tormento del seno e della bocca, alla carne che chiama, alle pupille dilatate. Certo non sono solo le maree dei suoi occhi, il fresco delle sue mani addosso o le aderenze del corpo intero, in un concavo/convesso che non conclude, ma apre percorsi sempre più nuovi e luoghi dove riposare.

Penso che non può non essere compreso, penso che appartiene a noi, che il desiderio siamo le persone che non temono, che non hanno nemmeno necessità di parlare o di toccarsi perché hanno il silenzio e lo sguardo, che hanno i mari che vogliono ed anche gli angoli segreti dove possono rimpicciolirsi fino a diventare invisibili; possono diventare cuscini oppure vastità, possono tutto. Chi non ci riesce è perché non ha Anna dentro. Cercatela, tutti abbiamo una Anna dentro, cercatela!

Adesso ho fame. Quant’è buono il sedano con la maionese.

Quando noi, Anna ed io, non andiamo a Parigi, facciamo passeggiate immense sul lungosenna, alla ricerca di quei dettagli che servono a riempire un cielo già pieno, quei tasselli per completare il puzzle dell’istante eterno. Poi, con un piccolo salto andiamo a mangiare una
zuppa di pesce a Cadice e ci affacciamo sull’oceano, a sentire il sale addosso senza temere alcun male. Non abbiamo fretta, perché il tempo è dalla nostra parte e ci coccola.
Aprire gli occhi non cambia nulla, perché anche lo spazio è con noi e si allarga e restringe e si adatta alla nostra passione d’esserci, ma solo insieme e null’altro.
Quando è sera, poi, si svelano tutte le magie e Anna diventa la fata che accoglie, il contenente contenuto  ed io contenuto che contiene e lei mi trasforma settemila volte per ogni attimo e ci conteniamo come gemelli nel grembo della terra, abbracciati, a proteggerci, a proteggere l’immenso che abbiamo, il dono che non ci siamo mai scambiati perché il dono siamo noi stessi. Ecco perché lei diventa uomo e mi trasforma in donna, affinché si possa ben comprendere quello di cui abbiamo bisogno. A volte siamo due donne, altre due uomini, ma sempre noi: Anna ed io.

Noi ci nutriamo di noi, ci consumiamo e ci rigeneriamo continuamente: lei mi partorisce e io la fecondo e muoio per farmi ripartorire. Io, pietra e volo, nasco da lei, continuamente.
La sera, anche di giorno, ci fa domande sull’amore, perché vorrebbe spargerlo laddove ce ne bisogno, e Anna glielo racconta, con la sua voce di mare e sangue e io le ascolto, donna e sera, fuoco e millenni
riempiendomi di armonie sorprendenti di gesto e avvolgente abbraccio.

Oh, quando mi lascia solo -lei lo fa- e sapete perché? Perché vuole mancarmi, perché vuole che il desiderio cresca sempre più e vuole mancarmi, capite? Come se ci fosse ancora spazio da qualche parte… e io vorrei dirle “ ma se mi manchi e ti ho allo stesso tempo, e mi manchi mentre ti ho e ti  ho mentre, contemporaneamente, mi manchi…” Che casino, forse è meglio che non dica niente, già mi son confuso, tanto lei lo sa e sorride. Oh Anna!

Quando mi ha abbracciato la prima volta, lei era distante almeno vent’anni. Io ero ancora babbuino a quel tempo e crescevo pigramente e lentamente,  mentre lei, nonostante fosse arrivata dopo me, già odorava di donna ma con ancora molti peli addosso. Io la guardavo, da lontano e pensavo: “Ma che bella scimmietta”. Certo non potevo immaginare che i secoli ci avrebbero trasformati così tanto, e poi non avevo neanche studiato, ero un somaro… cioè un babbuino analfabeta. Poi lei sparì, ingoiata da chissà quale era e, da quel momento, davvero cominciò a mancarmi. Quella scimmietta mi mancava e bestia com’ero, non capivo neanche il perché. Tuttavia cominciai a cercarla, a chiedere, ma niente, nessuno mi dava risposte concrete.

Più avanti, magari, vi racconterò del cammino per tentare di raggiungerla, le sfide col tempo, le scommesse con la morte, i pianti e le speranze, il conservare gelosamente il ricordo affinché il tempo non me lo portasse via!

Quando l’ho rivista, (quarantamila anni ci son voluti) l’ho riconosciuta subito, nonostante non avesse più i suoi splendidi peli, ma gli occhi, quegli occhi meravigliosi, quegli occhi di quando si gira sorpresa di quello che già sa, quel mare immenso dove navigo curioso, quelli erano gli stessi occhi di quella dolce e amorevole scimmietta.
Non avrei potuto mai dimenticarli e, quando tra quarantamila anni saremo solamente alfa, solamente un numero o solamente la sinapsi di un qualche mago scrittore o di una delle innumerevoli Biancaneve, anche allora, pur senza occhi, la riconoscerò.

Ora, non ricordo di essermi avvicinato così tanto in altre circostanze, cioè, vite, me lo ricorderei, ne son certo, perché Anna lascia tracce indelebili, perché in ogni suo passaggio c’è un solco dietro che nessun vento può trasformare. Lei è la duna fissa, il fossato che si riempie d’acqua generatrice e non ammette ritardi, solo sviluppo cronometrico nel crescere. Niente pause, insomma, niente distrazioni. L’empatia che lega indissolubilmente, che non confonde.
Direte “ma tu è perché ami Anna” no, non è quello, io non amo Anna, questo concetto di amare è superato dalla fusione anche cellulare.

No, io non amo Anna, ne lei ama me.
Parliamo dei figli. Loro, i figli sono la nostra carne che si espande e non si amano, perché  il legame, tutto, è a prescindere. Non è che li conosci ed impari ad amarli, li ami già, fin da bambino, fin da quando ancora non sai nemmeno se mai ne avrai.
I figli sono la nostra carne espansa all’infinito e Anna ed io, siamo figli di noi stessi e proveniamo dallo stesso universo e non ce lo chiediamo nemmeno, ma tanto non lo capiremmo. Io la fecondo e Anna mi partorisce, lei, figlia e madre e me stesso.
Quanta grandezza in due piccole anime. E magari a qualcuno potrà sembrare che siamo soltanto amanti, perché quello che si vede sono solo due corpi vicini!

Di giorno, poi, Anna è tutta la luce che mancava, i reverberi, le sfumature, le nitidezze… ha mille versioni e mille mani e io le conosco tutte.
Anna non dimentica mai nulla e se accade, è voluto. La prima volta che venne a casa mia, dimenticò un giacchetto, con tutto il suo profumo sopra, quell’odore di femmina, che riconoscerei tra milioni. Non era vero, lo so, non era vero che lo aveva dimenticato, lei, questo mio amore selvatico, così istintivo, aveva marcato il suo territorio, la sua casa/tana,  e l’avrebbe difeso con tutte le armi che la sua natura le aveva concesso, ed erano tante. Anna, mia madre, mia figlia, la mia poesia, la mia donna!

Anna, mi fa venire in mente quell’oltre che non sta da nessuna parte, non è soltanto l’universo di parole al quale siamo abituati perché lei, Anna, mi porge una coppa infinita di piccole attenzioni, di enormi tenerezze, di sane malizie di femmina selvaggia che aprono ad un centro assolutamente eventuale, dove ogni cosa si annulla e si ripete senza numeri o conclusioni.
L’amore non si ama perché, appunto, è l’amore, di cui noi!

Probabilmente direte “che bella fantasia, che dolce romanzo…” no, amici, Anna esiste, è vera, è viva, è carne e sensi, è sangue che scorre dentro, fiume impetuoso, delizioso tormento e io, mi lascio trascinare da quest’intimo pulsare.


C’è un’Anna in ogni angolo della vita, basta guardarsi attorno con attenzione, un’Anna per ognuno di noi, che ci vuole, che prende l’aria dalle nostre mani e ce la ripropone carica di lei e dell’essenza che ci permette di vivere fino alla fine il sorriso scemo di chi ama e si lascia inondare dai suoi occhi.

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