1°
[…]
a
lui piaceva attorniarsi di qualsiasi cosa le ricordasse lei, forse perché aveva
paura che tutto potesse svanire come in un sogno, di svegliarsi e di trovarsi
in un’altra realtà… e quei “segni” lo tenevano costantemente legato a questa
realtà dove lei rappresentava il punto di partenza.
Aveva
scritto il suo nome con delle mollette, quelle per stendere il bucato, e
l’aveva attaccato davanti alla porta. Tutte le mattine aggiustava le mollette
per mantenere il nome simmetrico, sempre in equilibrio. Quasi un rituale, un
simulacro. Poi, man mano che lei si allontanava, cominciò a trascurare quella
funzione rigenerativa, magari forzando un po’ per non morirci dietro e dentro
Stamattina,
però, ci ha pensato e ha voluto guardare: era malandato ma ancora leggibile, un
amore scassato ma ancora un amore…
[…]
2°
[…]
A
lui piaceva pensare a quanto lei fosse il fulcro di tutto quel tempo, di come
ogni granello di polvere le girasse attorno, a lei, che diceva di sentirsi così
mediocre, spesso inutile, ininfluente, lei, era invece, le fondamenta di tutto.
A
lui, tra le altre cose, piaceva scrivere, creare personaggi… e perché non farlo
per se stesso, pensava. Un personaggio che gli stesse sempre accanto, da eleggere
a ragione di vita, a quella creatura contenuta ma che contiene dentro sé tutti
i suoi aspetti e dove le parti si confondono agglomerandosi in una forma nuova
Quindi
crea quest’ultimo personaggio, che chiamerà Papo in ricordo della sua gattina
che chiamava Papù che un giorno sparì e di lei non seppe più nulla. Il connubio
con la gatta, era così intenso ed empatico, che lui non aveva bisogno di
parlare né lei di miagolare.
Sembrava
tutto uscito da una fiaba, troppo perfetto per essere reale comprese le
imperfezioni, facevano parte del gioco e quindi non disturbavano. E lui ci
pensava a queste cose e si domandava se anche lei se ne ricordasse…
[…]
3°
[…]
Quella
mattina sembrò che le realtà si fossero capovolte, gli sembrò che fosse lui ad
essere apparso al giorno sorpreso…
Stava
lavorando alla stesura di un romanzo, e ci stava sopra senza orario,
instancabilmente. L’aveva iniziato qualche anno prima, ripreso più volte e mai
completato. Stavolta sembrava deciso a concludere e ormai era alle ultime battute,
la scena di una cena chiarificatrice che sembra lasciare tutti felici e
contenti. Non riusciva a collegarla al capitolo precedente, aveva perso il filo
e adesso aveva difficoltà a riprenderlo. Ma quella sera dovevano andarci degli
amici a cena e avrebbe approfittato per trovare una soluzione alla scena, a
parte, ovviamente, la distrazione che
avrebbe rappresentato.
[…]
Non
c’era un senso logico a quello scorrere degli eventi, in maniera così
disordinata, così senza linea… un po’ come le balene che si arenano in
improbabili spiagge senza che sappiano almeno perché stanno morendo…
[…]
4°
[…]
A
lui piaceva pensare che il colore dei fiori dipendesse dai desideri di chi li osserva
per questo adesso non si avvicina più ai fiori, per non svelarsi, per non dividere,
poi, la sofferenza, anche se questo
significava rinunciare a qualche gioia. Sapeva pure che non si possono eludere
gli invisibile legami e non tutto è percettibile con certezza: Rimane sempre il
dubbio se siano le risposte a fare le
domande.
Per
lui, il più grosso motivo di sofferenza era quello stato di non morte in cui si
erano cacciati e, ancor più pesante, se in quello stato ci fosse solo lui…
ma
a lui piaceva pensare il contrario…
[…]
5°
[…]
A
lui piaceva partecipare agli incontri artistico letterari, e riceveva spesso
inviti, che gradiva, ma in quell’ultimo periodo trovava sempre una buona scusa
per evitarli. Non sarebbe riuscito a raggirare l’anima in una circostanza che
avrebbe potuto rimettere tutto in discussione, questo avrebbe ulteriormente
tradito un’immagine già compromessa e proprio non si sentiva di affrontare
problematiche che in altri tempi, sarebbero stati il classico giochetto da
ragazzi.
Ma
a camminare per strade ormai corridoi con tanto di minacciose pareti e senza un
filo d’erba, credo gli sembrasse orribile, qualcosa che ha a che fare col purgatorio
e fa male a sentirsi scorticati vivi.
Per
questo, lui non partecipava a nulla, nemmeno alla sorpresa del suo specchio,
quando lo vedeva vivo per casa.
Poi
c’erano i giorni in cui avrebbe “rischiato” e mai che ci fosse alcuna
occasione. Si ricordò di un dibattito sulla poesia al palazzo della cultura, li
difficilmente avrebbe incontrato vecchie conoscenze.
Ma
non andò precisamente come lui pensava,
perché, invece, incontrò parecchi amici, per fortuna nessuno di indesiderato.
Fin li, sembrava andare tutto bene, ma quando qualcuno gli presentò quella
divina creatura, un grande turbamento riempì la sala tanto che tutti sembrarono
ringiovanire e le pareti si tinsero di un colore che pensava esistesse solo nei
suoi sogni.
Il
suo nome era Eva, anagramma di anima…
[…]
6°
[…]
A
lui piaceva credere che tutte le parole fossero vere e che dietro ogni verbo
non si nascondessero ambigui svolgimenti. Certo, sapeva bene che non era così
semplice, che la bugia sta all’uomo come il prezzemolo sta a “ovunque”, e senza alcun motivo, spesso.
Lui
voleva pensare che quella volta fosse stato davvero diverso, che il sogno di
una vita si fosse avverato… ma perché avrebbe dovuto esserlo? Cosa c’era di diverso
in quella storia rispetto alle altre?
Forse
per via di quella decisione che non avrebbe più avuto relazioni di tipo amoroso
con alcuno, dichiarando “ultima” già la storia precedente? E cosa c’era di
speciale in una donna “qualsiasi” che viveva la sua vita come altre milioni di
donne, senza niente di particolare o speciale, che non fosse solo la stupida
voglia di “santificare” quel rapporto eleggendolo a “dono divino”? A lui, però,
piaceva immaginarla regina, padrona assoluta del suo cuore, matriarca e senso… dico, ma come si può affidare la
propria vita ad una persona piena di contraddizioni che dice, dice, e mai
resta, o ammette, e nemmeno cerca di capire quello che rimane di te…
Lui
pensava a tutto questo, capiva che quello che non riusciva più a ricreare
attorno a sé, pensava, potesse essere lo stesso per lei, ma scopriva, giorno
dopo giorno, che non era per niente cosi, che probabilmente non lo era mai
stato. Per lei tutto aveva un continuo, e lui era stato solo un personaggio che
aveva attraversato la sua vita, che
aveva preso il suo tram, uno dei tanti che popolano la vita di ognuno di noi,
ma poi si arriva alla fermata e si deve scendere e… avanti un altro, e un altro
ancora fino al capolinea, come è normale che sia. Perché sarebbe dovuto essere diverso? A volte
qualcuno ci rimane un po’di più su quel tram, scende qualche fermata avanti, ma
quanto tempo perde poi per tornare
indietro e ripartire da quel punto dove ancora si potevano aprire tante
finestre a nuove primavere… se le è viste passare le primavere senza
raccogliere almeno una margherita e a lei di questo non importava, a lei non
interessavano le primavere, solo
chiacchere che adesso starà comminando a qualcun altro al quale fare
tenerezza... ma, nonostante tutto, a lui
piaceva pensare che lei stesse soffrendo quell’assenza in qualche modo…
[…]
7°
[…]
Eva
creava attorno a se la magia della prima volta, un alone di fascino e mistero
che ingarbugliava la mente anche se, per molti aspetti, faceva intravvedere i
futuri fantasmi che avrebbero popolato le notti strane, già piene di troppe
parole morte. Era bella Eva, lui direbbe bellissima; si era sempre circondato
di donne bellissime, affascinanti, intelligenti, perché lui amava
l’intelligenza all’interno della bellezza, perché al contrario, pensava,
sarebbe stato facile trovare la bellezza nell’intelligenza: tutte le persone
intelligenti sono belle!
Eva
era anche, oltre a tutto questo, l’apparente “salvezza” che la natura gli aveva
donato per riuscire ad uscire dalla galleria buia in cui si trovava, da quella
non morte che bloccava, e respirare una bocca nuova e piena di energia. Eva era
la zolla che riprende, la sanarìa necessaria, la pianta officinale che salva,
l’obbligo della libertà, perché la libertà è un obbligo verso la creazione e
dove “obbligo” significa piacere… e lei, Eva, era l’esistere oltre il tempo e
lo spazio, nel senso più pieno della parola.
[…]
A
lui piaceva pensare che sarebbe andata come sempre, che tra un po’ di tempo, ma
già era tardi, avrebbe dovuto mettere tutto nell’archivio, che doveva essere
più un dimenticatoio che un deposito di ricordi e la presenza di Eva agevolava
parecchio questa congruenza, ma non ne era la causa e a lui piaceva pensare che
lei fosse il nuovo arcobaleno, e con più colori…
[…]
8°
[…]
Gli
capitò per le mani, mentre rifletteva su questo o quell’oltraggio, il testo del
“monologo del silenzio”, la prima scrittura “ufficiale” che parlava di lei o, comunque
a lei si riferiva. Lui la lesse ad un pubblico che ascoltava attento, ma era a lei si rivolgeva a mente aperta e
senza riserve, e lei pianse quel giorno o almeno così sembrò, mentre
l’ascoltava.
“monologo
del silenzio” - “da quanto tempo piove…
e noi aspettiamo, aspettiamo nuove margherite sbocciare per poi contare quel
che non torna.
quanti
silenzi sono passati sette, otto, e chi li ricorda più, e chi li mangia più se
poi, a tentare di sorprenderli sono tutti uguali i silenzi e parlano di niente
e non hanno occhi cosi da vedere quanto sei stanco di ascoltarli. e parlano,
parlano di città nuove, parlano, fermi come sono, di baci, di storie che
potevano andare diversamente, di quella volta che avremmo potuto parlare noi e
che, invece, abbiamo lasciato le parole in mezzo alla folla. oh, lo sapevamo,
lo sapevamo che la folla allontana e lui, il silenzio, è arrivato, in perfetto
orario, fantasma di te e di me, per portarci via, coperti di sughero e senza
farci capire che la libertà non sta mai da una sola parte.
ora,
amore che non sei facile, che da sempre ti batti per farti capire
interamente e che ci vogliono più di
sessanta lunghi anni per capire una briciola di te, ora, amore, sei nuovamente
qui, negli occhi dell’ultima donna, che già c’era stata l’ultima, che non
doveva esserci un’altra ultima, che quando sei giovane lo dici continuamente e
sai bene che non è così, eppure ci credi. ma quando il corpo ti comincia a
tradire, quando il peso di una vita diventa insopportabile, quando sai che il
bene che puoi dare è enorme ma solo dentro te… ecco, l’ultima donna, quella che
non avrai tempo per dimenticare.”
Ecco, e lei pianse quel giorno…
[…]
9°
[…]
a
lui piaceva sentirsi considerato, specie quando questa, la considerazione, si
traduceva in “particolari attenzioni”,
quel tanto piccolo che lascia ancora il senso di appartenenza, quello che
quando lei si ricorda che troppo aceto ti fa male, che, non salire le scale di
corsa o, più grande, mi piace tutto quello che fai... che poi erano il ritorno
di quello che lui lanciava… si, a lui piaceva essere considerato, perché lui l’aveva fatto prima, conosceva i codici:
Se voglio amore, quello devo dare!
Quello
che mancava era la presenza.
Tutti
i piccoli desideri, i più profondi, diventavano sempre più. particolari
attenzioni, quelle che distinguono un amico da qualcuno che ti fa battere il
cuore e altro, ma non c’era modo di verificarli in pieno, il tempo era sempre
meno. Era molto grave e stupido non chiedersi allora, perché il tempo era
sempre meno e, tolte le scuse, rimaneva il lento sbiadire della la volontà di lottare per qualcosa in cui non
credeva più.
A
lui piaceva credere che, a quel punto, il mondo avesse già capito e avrebbe
cominciato a girare nel verso giusto. Ma c’era un senso giusto? Se fosse esistita
un’altra possibilità, avrebbe potuto anche aver ragione lei: Se mi lasci sei un
bastardo, se ti lascio io è una libera scelta!
Giusto,
sennò che regina sarebbe stata? Ma era stato lui ad eleggerla regina, qualche
volta avrebbe dovuto ricordarsene.
Non
poteva aver quella ragione che tutti le
davano, lui non era così rincoglionito
da non riuscire a capire che si trattava di ben altro e che le “ragioni”, erano
solo opportunità di ogni genere, opportunità per gli altri, che le mostravano
improbabili armi a difesa si, ma dei propri
interessi. Ma opportunità anche per lei, che avrebbe pagato meno di quello che
le spettava…
[…]
10°
[…]
A
lui piaceva che tutto andasse bene, che scorresse, che i piccoli desideri si esaudissero man
mano che si evolvevano, ma non era mai così.
Giovanna
non era in forma ultimamente, e le
vicende con l’ex fidanzato sembrava l’avessero esaurita. Lei, bella e giovane
com’era, avrebbe potuto avere molto di più dalla vita, invece aveva perso tempo
in quella sterile e stupida storia. Lui la conosceva da più o meno quattro
anni, e lei era sempre presente quando lui organizzava eventi artistici dalle
sue parti. Giovanna le era sempre piaciuta, ma di un piacere pulito tranquillo,
e poi, comunque, era “distratto” da quel colosso di sentimenti che
rappresentava Papo. Certo, qualche volta ci pensava, ma lui non riusciva a
tradire, lui odiava il tradimento considerandolo tra i delitti più atroci
contro l’uomo.
E’
stato un caso l’essersi incontrati e aver ripreso quel “piacere” che tanto loteneva
sereno: era un tranquillante naturale, Giovanna, non un analgesico!
Un
paio di telefonate, qualche ora in chatt, riuscirono, per un breve tempo, a creare un ambiente sereno, spesso giocoso…
poi, forse lui si spinse troppo in avanti e mise lei in una posizione di difesa
e a chiederlo, non aveva risposte, né
motivi.
Ma
ci pensava e, credo, gli mancava quella breve armonia che erano riusciti a
creare, nonostante l’inferno che li circondava.
[…]
Ma
a lui piaceva pensare… e pensava a tutto quel mondo che si stava lasciando
dietro, un mondo all’interno di un palcoscenico dove cambiavano i personaggi ma
si ripeteva la scena di sempre e sapeva che anche da qualche altra parte stava
accadendo la stessa cosa: Altri personaggi a riempire i vuoti lasciati dal
collasso di quell’amore, inconsapevoli protagonisti di niente!
Giovanna,
la sua assenza, sta lasciando che i fiori del ricordo continuino a fiorire e…
quel desiderio di andare sull’Etna, magari in quell’immenso farci l’amore e
sentire le vibrazioni della terra sotto i piedi, magari, quel desiderio, sarà
un altro ad esaudirlo, il mio, il suo desiderio… ma Giovanna non c’entra con
tutto questo, lei è così dolce…
[…]
11°
[…]
La
decisione di Gisella sembrava ormai irreversibile, ma a lui piaceva pensare a
quanto quella svolta le avrebbe cambiato la vita. Trasferirsi a Roma per frequentare
i corsi di cinematografia, era ormai l'irrinunciabile sogno che si preparava ad
affrontare.
Per
lui rappresentava un motivo d’orgoglio, ché se Gisella fosse diventata quello
che, in fondo, meritava, un pochino era anche merito suo, ma, dall’altra parte
del pensiero, però, Gisella rappresentava pure l’ultimo baluardo di un
complesso insieme, che lo aveva visto indiscusso protagonista, e adesso anche
lei se ne stava andando.
Verso
chi avrebbe riversato tutto quell’amore?
Se
ne era accumulata una quantità enorme durante questo tempo vuoto, una quantità
tale da diventare ingestibile… continuare ad amare incessantemente qualcuno che
ha chiuso tutte le finestre aprendone altre, dalle quali, anche lei riverserà
quantità abnormi di amore, amore vuoto a perdere, che i destinatari crederanno
vero, e anche lei ci crederà infine e a lui questo non piaceva, ma non poteva
farci nulla se non assistere alla partenza di quella gioia che era Gisella e
alla inesorabile fine di tutto quel mondo. Eva, Giovanna, Anna, Daniela,
persone molto vicine a lui, che in qualche modo gli riempivano la vita, ma di
un altro mondo, un mondo a venire che non si poteva, in alcun modo, prevedere…
[…]
a
lui non piaceva tutto questo…
[…]
12°
[…]
I
suoi figli, Simona e Andrea, sapevano di quanta libertà ci fosse dentro quel
papà così “strano”, quel padre che andava al bar di fronte, a prendere il caffè
in pigiama, che non si era mai curato del pensiero di quegli altri che non gli
interessavano, ma che con infinita amorevolezza li aspettava, sempre, qualsiasi
tempo facesse r in qualsiasi tempo.
Loro
sapevano pure dei suoi tormenti, di quanto grande potesse essere il dolore che
lo consumava, del passato ossessivo, del presente devastante, del futuro nullo…
[…]
tutte
quelle storie, l’America, il Circolo Polare Artico, la loro mamma, Leonor, la poesia… e poi lei, grande e controversa
protagonista di quella parte così delicata della suaesistenza, l’infarto e il
conseguente cambio di tutta la sua vita… tutta quella gente che prima era là,
accanto a lui, quasi ad adorarlo… e ora, il vuoto, un niente fatto di niente,
illusioni elette a quotidianità dove, quello strano papà continuava a cucinare
per due, con una gioia che male nascondeva l’infinita solitudine dove era stato
scaraventato, loro, i suoi figli, sapevano… e sapevano pure di quel senso
d’impotenza che lo riempiva fino all’orlo, di non riuscire ad essere più
quell’esempio che loro s’aspettavano, che moriva ogni notte e rinasceva solo
per loro, in una dimensione che se non era buio, gli somigliava molto. Pensava
di averli delusi, quei figli che erano la sua vita, di averli traditi, di aver
smesso quel ruolo di padre/maestro per un altro che non gli si addiceva per
niente: il ruolo di “inutile” quale qualcuno l’aveva fatto diventare…
[…]
i
suoi figli sapevano…
[…]
13°
[...]
a
lui piaceva credere che lei stesse male almeno quanto lui, ma non era così, lei
aveva già cambiato sogno, il destinatario del suo buongiorno e della sua buonanotte.
Era la bimba di qualcun'altro che la stava comprendendo interamente e senza
egoismi: il suo sogno vero... altro che case umide, pullman, assurdi incontri,
pranzi anche fin troppo barocchi per essere gradevoli e letti freddi o troppo
caldi, appiccicosi... vuoi mettere l'aria condizionata, i lumi di candela, le
frasi baci perugina sussurrati ad un millimetro dalle labbra... vuoi mettere? E
le opportunità?
Ma
a lui piaceva credere che lei lo pensasse continuamente, che non c'era un
attimo della sua giornata in cui lui non fosse, in tutti i modi, presente, che
quel legame era davvero indissolubile e che pur nel silenzio più assurdo, le
grida imbrattavano le pareti schiantandovisi contro violentemente.
[…]
Si,
a lui piaceva credere...
[...]
14°
[…]
Avevano
dato tutti torto a Luisa, ma la sua tendenza a giustificare sempre, quel suo
essere aperto anche verso le “distorsioni”, al fatto chiaro che ognuno di noi
legge a modo proprio la vita di chi gli sta attorno, gli lasciavano sempre
quella domanda: E se fosse così come dice lei?
Si
domandava continuamente, lui, da che parte fosse la verità, ma da entrambi i
lati c’erano due persone che amava ed era sempre più difficile scindere.
Naturalmente
la tendenza era sempre a credere più in lei, Papo (che nonostante tutto si
ostinava a pensare il contrario), trattenendo comunque il dubbio sulle versioni
di Luisa che si allontanava sempre più, lasciando che si sviluppasse quel
gigantesco vuoto che avrebbe investito tutti, soprattutto da quando Gisella
aveva preso altre decisioni e altre direzioni, cosa che la sconvolse talmente
tanto, al punto di mettere la cosa in cima a tutte le priorità, e non solo le
sue.
Avere
tanti amici, persone che ti stimano e ammirano, che ti seguono, quasi mai è
sufficiente per sopravvivere alla “vuotità”, e lui ne era consapevole. Sapeva bene
che una parola, una sola parola proveniente da lei, valeva più di tutte quelle
dei cento amici che lo circondavano. Forse il torto di Luisa, furono alcune “distrazioni”
che mostrarono un lato inedito di questa donna, un lato ritenuto poco
conveniente per alcuni, giustificabile per altri o comunque, riducibile ad un
“sono affari suoi”, ma che, comunque, coinvolgeva tutti! L’errore di Luisa?
Mettere in discussione tutto e pretendere chiarezza laddove lei stessa
oscurava. La realtà era evidente agli occhi di lui: Uniti da un punto mobile ma
in mondi e modi di vivere la vita assolutamente diversi!
Non
si poteva pensare a giustificazioni, loro erano anche fin troppo adulti per
cercare giustificazioni, non servivano, bastava vivere ciascuno il proprio e
lasciare fuori dalla propria vita intima tutto il resto.
Mi
capito spesso di sorprendere lui a pensare che tutto quel meccanismo potesse
essere stato, in qualche modo, pilotato, di certo a livello subcosciente, una
sorta di volontà superiore che spingesse a frantumare una realtà fittizia, il
classico “troppo bello per essere vero”, che quando accade, bisognerebbe
viverlo anziché indagare dentro di esso fino a svelarne le armonie a noi
sconosciute e quindi a frantumarlo come un sogno al mattino. Svegliarsi in
piena notte per vedere se ti trovi dentro un sogno o in una qualche improbabile
realtà, per lui era una sciocchezza dentro la quale, però vi caddero tutti, lui
compreso.
Luisa,
che tanto gli era stata vicina nei momenti più tristi, negli stati di profonda
solitudine, nelle notti di malessere fisico quando la pressione sanguigna di
lui ballava con numeri assurdi, al limite del fatale, lungo le cene sofferte, quella
Luisa, adesso era presente quasi come un ologramma, nel tentativo di mostrare
chissà quale “verità”, dove non ne esisteva più alcuna...
[…]
A
lui piaceva pensare che le macerie si possono utilizzare per ricostruire…
[…]
15°
[…]
Lui
era al telefono, di quelli con la cornetta, un vecchio telefono bianco che
teneva caro…
“Cosa,
non ti trovi dentro ciò che scrivo? Ma che diavolo dici, se ogni virgola, ogni
lettera, anche gli spazi vuoti sono pieni di te… ti ringrazio per quello che hai detto, della
meraviglia con la quale vesti ciò che scrivo, ma sei tu, inevitabilmente tu,
non può esserci altro, perché una persona non si sostituisce con quella
facilità con la quale, sembra, tu abbia sostituito me, è questa la differenza
tra noi… si è vero, ci sono persone che
mi prendono, che mi danno mille motivi, ma quello è un mondo diverso, è il
mondo del “poeta”, un mondo pulito,
comunque, anzi forse il più pulito, il più onesto, un mondo che tu conosci, lo stesso mondo di quando “eravamo”, ma da qui
a dire che ti ho cancellata… stai esagerando. rimani, e rimarrai, perché nulla
si cancella, perché quando dovrò vivere di ricordi, voglio vedere il tuo di viso,
tutte le tue e nostre cose a sorreggere quel vivere, assieme, naturalmente alle
altre cose che hanno fatto questa mia vita, ma con te al finale, quindi,
indispensabile. Devi chiudere? Va bene, ma promettimi che ci sentiremo di
quando in quando, che mi farai ancora sentire partecipe della tua vita, di come
stai, di come sta tua madre, se i ragazzi crescono bene, se… se ci pensi
qualche volta a quanto poteva essere diverso se…”
Poi, lo vidi lanciare il telefono contro una parete, un telefono muto, non trattenuto da alcun filo, che non aveva detto niente e niente aveva sentito. Ero preoccupato, da giorni non mi parlava, anzi, mi evitava…
[…]
A
lui piaceva farsi del male camuffandolo con la maschera dell’ironia, si, a lui
piaceva farsi del male…
[…]
16°
[…]
Marta
era la serenità. Lui amava Marta, da sempre, per quello che rappresenta… lei
non era la ragazza qualsiasi, carina e intelligente, Marta era molto di più di
questo, era la pace, era l’olio buono, la vicinanza distante, la ricerca che
non si compiva mai… Marta era da amare ma non si poteva dire. Poi la grande distrazione
e lui girò lo sguardo verso chi sembrava mille Marta, mille paci e centomila
sogni… e Marta rimaneva lì, senza attendere, perché non sapeva, non ci pensava,
forse più vicina di quanto lui potesse credere, ma nel suo mondo fatto di altri
amori di altra vita, anche se il bene che si volevano, adesso combaciava, ed
era bene e nient’altro.
Poi…
lo prese per le braccia, lo sollevò spingendolo col suo corpo e, semplicemente
gli sistemò il cuscino, il cuscino di un infermo, che avrebbe dovuto sistemare qualcun altro,
ma lo fece lei, e il bene crebbe… molto…
[…]
A
lui piaceva il bene, e quando lo sentiva sincero, lo chiamava amore, un amore
pulito, perché non possono esserci due amori o tre, di quelli che la passione
travolge e consuma, di quelli, può
essercene solo uno. altrimenti si chiamerebbe inganno e lui viveva già dentro
un amore di quelli.
[…]
Lui
amava Marta e pure lei gli voleva bene, e tanto…
[…]
17°
[…]
Lui
era convinto che il pensiero fosse una forma d’energia quantificabile, che le
onde celebrali si propagassero così come le onde elettromagnetiche o addirittura,
attraverso esse. Che se una persona si trovasse a pensare a un’altra persona,
in qualche modo, all’altra persona il “messaggio” sarebbe dovuto arrivare.
Può
darsi, dapprima, intraducibile, però, qualora l’altra persona avesse prestato
maggiore attenzione, il messaggio sarebbe diventato sempre più chiaro, identificandone
persino la provenienza, fino ad entrare dentro come un timore o gioia
dipendente dal valore se positivo o negativo.
Questa
cosa un po’ lo ossessionava perché, per via di quella teoria, visto che lui la
pensava costantemente, in qualche modo, anche dall’altra parte, poteva essere
lo stesso e, per inversione dei fattori, il suo pensiero costante poteva essere
il risultato di un costante pensiero.
Certo,
se una persona se ne stava spesso alla finestra, quasi esageratamente, poteva
essere un cercare di veder passare qualcuno di importante per lei, ma non è detto
che questo potesse essere lui…
Importante,
e perché?
[…]
Ma
a lui piaceva la teoria sulla reciprocità, ci voleva credere…
[…]
18°
Effettivamente,
poi, uno si frantuma le recondite armonie nel dire o nel fare cose che non
interessano a nessuno, a partire da egli stesso, allora dice: che senso ha
tutto questo?
Quando
ti ritrovi che ti hanno incastrato e in qualsiasi caso la colpa è tua, perché
continuare a combattere? Non ci si sente un po' folli nell'andare a sbattere la
testa sempre contro lo stesso muro? Non ci si sente un po' idioti?
Potrebbe
funzionare il "tutti a fanculo", ma non è facile, perché gli altri,
quelli là, ti confondono, ti fanno quelle faccine di vittime divorate dalla
solitudine, di solitudine! Anche le smile ti confondono... e ti ritrovi a
credere ad improbabili sofferenze, ormai troppo dubbie, anche le tue, che da un
sacco di tempo, lo specchio non ti vede. Cos'è, prende la vergogna per il fallimento?
Si, accade, e allora? Ma dirlo alla causa della vergogna, è opportuno? Lasciamo
perdere i racconti e le fantasie... e continuiamo questa vita che per quanto
vuota, è sempre più piena di certi niente…
19°
[…]
a
lui piaceva la lealtà, per questo la pretendeva.
Quando
incontrava una persona, la fase di “osservazione” durava molto poco, giusto
l’indispensabile.
Lui
credeva che le opinioni potessero cambiare con la conoscenza, ci credeva
fermamente al punto che non si curava più di tanto dell’approccio, che doveva rimanere
nella dimensione della “cortesia” e delicatezza. C’era tempo per le
dichiarazioni di convinzioni divergenti che, comunque, non avrebbero dovuto o potuto
compromettere la stima o quant’altro.
Era
il subdolo che non riusciva a mandare giù, la realtà volutamente falsata a
vantaggio dei propri opportunismi, l’inutile bugia che avrebbe cambiato il
corso delle cose e l’avrebbe deviato anche se di poco, ma alla lunga ci si
sarebbe ritrovati a miglia di distanza senza capire più nemmeno dove o quando
ci si era sbagliati. Era in quel momento che si sarebbero dovute chiedere
spiegazioni ai diretti interessati. Don Chisciotte andava direttamente dai
mulini a vento, non chiedeva a qualcun altro perché quelle enormi braccia ora, giravano al contrario e, lui pensava, questo
accadeva solo perché non si aveva il coraggio, né la faccia, per affrontare la
verità. A lui bastava questo per capire chi aveva torto, chi non era stato
leale, e smetteva di combattere contro nessuno, perché quelle persone erano
nessuno.
Erano
solo palloni gonfiati d’aria sporca, fraudolenta, piena dei propri interessi e
gonfiati dagli stessi che lui avrebbe voluto difendere, ma si sa, chi si prende
cura dei mocciosi, o rimane sporco di cacca o, al massimo, di pipì.
Ci
volle tempo per ammetterlo a se stesso, ma lo aveva capito da parecchio
quell’inutile valore.
[…]
Ci
volle tempo, purtroppo!
20°
[…]
a
lui piaceva credere che le persone fossero pulite, più di lui stesso. Per
questo quando Vittoria fece ingresso nella sua vita, la sentì come la medicina
contro quelle ferite che lo avevano afflitto e continuavano a sanguinare. Lei,
Vittoria, in pochissimo tempo riuscì a rimettere un sorriso sopra il becco del
rapace che gli consumava il cuore, che ricresceva ogni notte dai sogni che, e
lui lo sapeva, rimanevano sogni. La delicata bellezza di lei, diventava sempre
più musa, lo ispirava in una nuova poesia perché, quella delicata bellezza, era
poesia.
Non
voleva credere nell’inganno, a lui piaceva pensare di essere stato frainteso,
che alcuni fattori esterni avessero avuto un ruolo fondamentale nella deviazione
delle “possibilità” e che la storia alla quale aveva creduto così tanto, fosse
finita per colpa, non per dolo. A lui piaceva credere che le persone fossero
pulite, ma si sbagliava e adesso ne stava piangendo le conseguenze.
Vittoria
era l’uragano che spazza via tutto, il vento buono che può riuscire a far
rifiorire la speranza che qualcosa di buono possa esserci ancora. Lei era la presenza
che voleva in quel momento senza tempo.
[…]
Si,
a lui piaceva ricordare, ma di più, piaceva vivere con tutte le sue cicatrici.