venerdì 8 novembre 2013

da "Ho incontrato un angelo" (1992/2013)


L'incontro




Avevo già finito il mio turno e, dopo aver scambiato due parole con Saro, nella piazza antistante al teatro, presi l’auto e andai verso casa, prendendo la strada del porto che a quell’ora era meno trafficata.Ero sovrappensiero, ma non mi sfuggi una figura familiare. Era di spalle e osservava qualcosa in lontananza, forse la chiesa oppure il palazzo accanto. Rallentai fino a fermarmi a circa due metri da lei che sembrò percepirmi.
«In quella chiesa ricevetti l’estrema unzione, ed è uno degli ultimi ricordi prima di cadere in un lungo buio» Disse girandosi,sicura della mia presenza.
Scesi dall’auto e mi avvicinai.
«Posso toccarti?» chiesi con le gambe che mi tremavano e il cuore impazzito.
«Certo che puoi» sorridendo.
Le presi le mani, quelle magiche mani di velluto, istintivamente le portai alle labbra baciandole e lei mi lasciò fare lusingata.
«Chissà quante volte e in quanti hanno dichiarato la tua bellezza» le dissi ammirato.
«Non di recente» rispose ironica.
Entrammo in macchina.
«Mi porti ad Acitrezza, vicino al mare?»
«Anche in capo al mondo…»
«Lì conviene che ti ci porti io e al momento giusto»
rispose sorridendo.
«Quando sarò “morto” anch’io?»
«Ma no, quando nella tua mente ci sarà spazio sufficiente per capire la realtà reale»
«Perché hai scelto me?»
«Perché mi hai rispettata, perché mi hai amata, perché non mi hai tradita, perché mi hai…cercata…»
Lei si girò a guardare la strada pensosa mentre io cercavo di interpretare quelle sue parole. Di cosa parlava, cosa voleva dire.
«Parlo dell’amore che rappresentiamo, quello originale e unico.» Percependo il mio pensiero.
“Come possiamo, entrambi, rappresentare l’amore” pensavo contorcendo il cervello per districare quella matassa. “siamo materia diversa, non è possibile che percepiamo i sentimenti allo stesso modo”.

Fermai la macchina sul molo del porticciolo di Acitrezza, lei scese e camminò per un paio di metri. Arrivò sul ciglio e lì se ne stette immobile per circa dieci minuti a braccia quasi aperte e il viso contro il sole. Sembrava che stesse pregando, forse, celebrando quel reale o meglio, quella parte di reale che conoscevamo entrambi e in quel controluce la vedevo scintillante, evanescente, una specie di fata di una fiaba moderna contornata da un alone luminoso che si espandeva sempre più come se ricevesse energia dal paesaggio stesso.
«Pregavi?»
«Non precisamente, mi metto in contatto con l’essenza di quello che vedo per allargarne l’immagine reale.»
«Ma… di che sostanza sei fatta, come ti muovi attraverso le realtà e come puoi essere, quando un attimo prima non eri?»
«Come la luce, mi svelo sottraendomi al nascondimento e mi offro così come si offrono tutte le cose» disse lei muovendo le mani come in una danza, come se raccogliesse le parole dall’aria circostante. Il suo tono di voce sembrava più sommesso, quasi solenne.
«Cioè, la luce è assenza di buio? Come la verità dei greci che priva il nascosto del nascondiglio svelandolo?»
«Proprio così. la luce è dentro il buio: nascosto e nascondiglio.»
«E tu, sei la luce?»
«No…no davvero, sono solo una piccola parte della verità nascosta.»
«Quindi, in un certo qual modo, la sconfitta della supremazia del reale.» risposi soddisfatto.
L’abbattimento del supremo dominio del reale, mi avrebbe permesso di ottenere attenuanti per non passare come folle allucinato o chissà cos’altro. Ma tutto era cosi intimo…ci sarebbe voluta un’invasione per salvarmi!
«In un certo senso. Questa realtà, non è tutto ciò che si percepisce sensorialmente, è un territorio di gran lunga più vasto di quello che si conosce e che conobbi anch’io… e non è al di là o al di qua, è dentro ogni essere, proprio come la luce. Basta togliere il nascondiglio e la verità si svela.»
«Non più “energia” aristotelica, cioè esistenza in atto, presenza effettiva. L’esserci va oltre l’essere qui, in questo momento…»
«Ed io ne sarei una prova.» Sorrise entrando in macchina. Mi sedetti anch’io.
«Ma… e la forma, la materia?»
«Riprendere per un breve, molto breve, periodo la propria forma, non è cosa facile, ma non è complicatissimo. Lo è, invece, prendere consistenza corporea; per quello ci vogliono decine, a volte, centinaia d’anni di “addestramento”, ma soprattutto, una grandissima volontà di farlo.»
«Incarnarsi?»
«Oh, quello è molto più complesso di quanto si possa credere, sia per il soggetto consenziente sia per l’incarnante. Un po’ meno quando il soggetto è inconsapevole e, comunque, parliamo di grandi energie per pochi minuti… giusto il tempo per “correggere” un andamento o anche per rivivere un attimo, un profumo, un abbraccio o altro che ti ricordi alcune piacevolezze di quel passato.» mi spiegò rattristandosi un tantino.
«Non ti fa male il ricordo?»
Lei non rispose ma percepivo una piccola sofferenza in quel silenzio.
«Dimmi delle coincidenze» ripresi.
«Ma le coincidenze sono come prendere un passaggio. Si approfitta di questa intersecazione e basta un piccolo salterello senza dispendio di tanta energia.»
«Vuol dire che puoi “venire” qui anche senza le coincidenze?»
Lei confermò con un cenno del capo, mentre odorava un piccolo ciondolino che tenevo nel portaoggetti.
«Chi te lo ha dato?»
«Sinceramente non ricordo!»
«Non è buono.»
Stavo per buttarlo via, ma lei intervenne.
«Non è necessario buttarlo, ti basta sapere che non è buono.»
Questa sua ultima affermazione mi fece pensare che in fondo siamo noi che diamo potere alle cose. Un coltello non è buono se lo usiamo per uccidere, ma lo diventa quando sbucciamo una patata o tagliamo delle verdure, ad esempio. Bisogna utilizzare nel modo più opportuno a noi le cose che il mondo e la vita ci propongono assumendocene, ovviamente, ogni responsabilità.
«Lasciami dove mi hai trovata, per favore. Ho da controllare alcune cose.»
«Ma…» Mi fermò con un gesto della mano che subito diventò una carezza. Era la prima volta che mi “toccava” e la sensazione fu di grande completamento. Sentii la sua mano sul mio viso, prima ancora che vi arrivasse come se quel gesto viaggiasse più velocemente del pensiero e questo,per un momento, mi fece sentire simile a lei, di un’altra sostanza.
Stava accadendo qualcosa, stavo, evidentemente,subendo una trasformazione che mi avvicinava a un “essere” diverso, di certo,più completo. Guardai la mia mano e, d’un tratto, sentii tra le dita un muoversi di capelli, ma era come se stessi accarezzando le cime degli alberi di una foresta o le spighe di un immenso campo di grano. Sembrava che l’intero mondo si fosse rimpicciolito ed era lì, tra le mie mani.
«Puoi avere tutto l’universo fra le dita» disse sorridendo davanti al mio stupore e mi penetrò con i suoi occhi invadendomi di tutto quel verde brillante.

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