L’impiegato
lesse attentamente la sua richiesta di cambio di residenza e domicilio, poi gli
chiese garbatamente di attendere.
L’ufficio era
il classico ufficio anagrafico di un paesino del sud, quasi di “frontiera”, con
impiegati sudaticci e non ancora del tutto digitalizzato. In tutto quattro
uomini e due donne che, nel generale, cercavano di far trascorrere il tempo nel
migliore dei modi. Il tipo garbato che si occupava del documento di Cetto era
scomparso dietro la porta di fronte he aveva bisogno di una restaurazione
energica, tanto era consumata. Anche i muri avevano quel tipo di necessità,
screpolati in basso dall’umidità e sporchi di ogni sorta di sporco ad altezza
uomo. Sul grande mensolone-scrittoio, spiccavano piccole cordicelle che
avrebbero dovuto trattenere delle penne ormai d’altri proprietari e, in ordine
troppo sparso, mille fogli di carta che alla fine della giornata sarebbero
finiti nella spazzatura, come se fossero qualcosa che cade dal cielo e non il
prodotto della distruzione di un albero.
Cetto non era
particolarmente stanco ma, in quel momento, desiderava trovarsi a casa sua, con
i suoi pantaloncini leggeri, i suoi sandali ridotti all’osso, magari a oziare
dignitosamente, oppure andare avanti col quel romanzo che ormai si tirava
dietro da troppo tempo e che non portava mai a termine. L’eventuale successo di
quel libro, avrebbe significato tanto per lui, non tanto per i soldi, quanto
per il fatto che era riuscito a raccontare a qualcun altro che non fossero i
gatti, tutto quello che si portava dentro. Non era una storia avventurosa, né
d’amore particolarmente idilliaco, erano solo pensieri che raccontavano di
solitudine e di taciti accordi con la natura attorno a sé, natura, della quale
ogni giorno percepiva i tentativi di sopravvivenza e si domandava per quanto
tempo ancora avrebbe resistito agli attacchi dell’uomo cosiddetto civile.
-Signor Di
Stefano?- Chiese il tipo garbato
-Si- Rispose
Cetto alzandosi.
-Deve avere
cinque minuti ancora di pazienza giusto il tempo che il direttore firmi i
documenti-
Cinque minuti!
In cinque minuti si possono firmare i documenti di tutti gli abitanti del paese
-pensava Cetto.
Già. comunque,
sentiva il fresco sotto la veranda e l’odore di menta che gli faceva da
contorno, i giochi assurdi dei gattini, la pacata e protettiva figura
dell’enorme eucalipto di fronte, persino le zanzare che infastidivano ma non
più di tanto. Aveva venduto la casa in città che i genitori avevano lasciato in
eredità che comprendeva anche quella casa di campagna che con piccole ristrutturazioni
era diventata la sua dimora e non aveva grandi necessità, al momento, di
trovarsi un lavoro o qualche fonte di reddito. Poteva benissimo occuparsi di
quelle sue piccole “cose” che aveva sempre rimandato a tempi più sereni e
quelli, sembrava che lo fossero.
Entrarono due
carabinieri che si diressero allo sportello, dove il suo impiegato preferito li
accolse.
Come solitamente
accade, si trattava di un giovane ben impeccabile nella sua divisa e di un
altro un po’ più avanti negli anni con una, comunque, non sgradevole
trasandatezza. I tre mormorarono qualcosa poi i due militari si girarono verso
Cetto.
-Di Stefano
Concetto?-
-Si, sono io-
alzandosi.
-Lei è in
arresto per l’omicidio di Nicola Terrasanta, avvenuto a …-
Il sangue di
Cetto si fermò così come tutto ciò che gli stava attorno. Non riusciva a
pensare, sembrava che non ci fosse nulla in grado di sbloccare anche una sola
parola. Tutto era immobile. Cetto sentì il rumore delle manette e il freddo
metallo attorno ai polsi ma era come se non ci fosse più un sistema nervoso nel
suo corpo, incapace di qualsiasi tipo di reazione.
Qualche minuto
dopo era solo dentro una cella di sicurezza della vicina stazione dei
carabinieri e solo allora, qualche parvenza di pensiero cominciava a formarsi.
Ma erano tratti isolati, confusi, pensava ai gatti, all’orto che aveva bisogno
d’acqua, al finestrone che aveva lasciato aperto. La sua casa, con tutti i suoi
abitanti, aveva bisogno di lui che, in quel momento, non poteva fare altro che
attendere.
“Nicola
Terrasanta, e chi diavolo è Nicola Terrasanta”, pensava.
Nei suoi quasi
quarant’anni, Cetto, era sicuro che gli unici esseri viventi che aveva ucciso fossero
qualche zanzara e qualche scarafaggio ignorante, oltre al fatto che era del
tutto vegetariano per non avere sensi di colpa nei confronti di quegli animali
che l’uomo aveva eletto proprio nutrimento e, per quanto si sforzasse, non
riusciva a collegare la sua vita con un omicidio.
Le due cose
erano talmente distanti tra loro che qualsiasi volontà di collegamento si
disperdeva come poca acqua dentro una grondaia secca da anni.
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