giovedì 18 aprile 2013

Pocket coffee (racconto in 5 attimi) (1988)




 1° attimo


Lei andava sempre in cerca di emozioni che fino ad allora aveva trovato solo nei libri e aveva trasmesso ai suoi quaderni con la giusta enfasi. Sedici anni, bella, con molteplici espressioni, tante, fino a confonderle.
Si muoveva tra i sogni e le stelle e spingeva anime verso grandi amori, ma troppe volte masticava amare delusioni.
Lei era sempre in compagnia di qualche innamorato che riusciva, comunque, a tenere a debita distanza e l'unica volta che si trovò da sola, inciampò contro un imbranato sorriso e s’innamorò.
Direte: “Così, tutto d’un tratto?”
Non lo so, può darsi. Fatto è che poco tempo dopo erano da soli, seduti su una panchina, nei pressi della scuola.
Lui, non so come si lasciasse chiamare, era piuttosto goffo e poco intraprendente. Portava spessi occhiali da vista e aveva i capelli rossicci, sempre in disordine.
Balbettando, lui le chiese il suo amore e, quasi balbettando lei glielo confermò, accecata dall’inesistente bellezza di lui.
Lui aveva sempre un pocket coffee in tasca, e glielo diede. A lei non piaceva il caffè ma lo prese come si prende un gran dono.
Poi se ne andarono così, senza chiedersi altro, mano nella mano.




2° attimo


Lei desiderava il grande amore sempre sognato; non l’aveva mai provato ma ne aveva tanto sentito parlare. In realtà lei dubitava che esistesse qualcosa del genere ma, adesso, era sicura che se davvero ci fosse stato, lo avrebbe, di certo, trovato in lui.
Lui, invece, oltre al pocket coffee, ne aveva tanto di amore da dare, perché l’aveva conosciuto (non era un ragazzino), ma non gli era più capitato di poterlo esprimere interamente, neanche in parte. Era sempre alla ricerca di una “lei” che fosse stata capace di assorbirlo come una spugna inesauribile e, forse, finalmente, quella spugna era davanti a lui.
La storia andava avanti e, tra un pocket coffee e un bacio, tante promesse d’amore infinito.
Un giorno lui si pettinò, sostituì gli occhiali con delle lenti a contatto e si diede un’aria più consapevolmente matura credendo che le potesse dare più forza per amare.




3° attimo


Si cominciò a parlare di sesso, di luoghi sconosciuti, dove passare notti insonni pieni di piaceri; Lui parlava di giochi non proprio da innamoratini e lei, cominciò ad aver paura.
Lui si accorse che per lei, per “giocare”, erano sufficienti le parole ed una gamma consistente di piccole maliziosità, di sguardi ambigui. Si accorse pure che non era poi quella spugna che si aspettava e che il suo desiderio si placava con qualche bacetto ed il resto era poco più di niente o, perlomeno, rimandabile. Cioè, non considerava a tal punto il completamento di quell’amore, pur grande,
pur vero, ma così tanto e solamente platonico.
Lui insisteva ed azzardava pure mettendo in pratica la sua esperienza, ma lei non si muoveva di un millimetro. Infine lui, a causa dell’irremovibile posizione che lei aveva assunto, piano piano e, senza del tutto volerlo, si allontanava sempre di più da quel magnifico amore che tante emozioni gli aveva regalato.




4° attimo


Lei, intanto, cominciava a percepire il desiderio così come glielo aveva mostrato lui ma, orgogliosa, preferì non tornare indietro e mentire. Lui, dalla sua parte, accettò le sue bugie e cominciò a credere in una verità che serviva solo a lui, anche se ci stava scomodo.
In silenzio, con l’ultimo pocket coffee, ritornandosi i nomi che si erano dati, se ne andarono per le loro strade: lei tra le sue stelle, lui…chissà dove.




5° attimo


Lei sapeva dove andare ma non perché. Lui sapeva perché andare, ma non da chi…





Catania 1988




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